“Non importa se è difficile, a me importa sia possibile.” Bethany Hamilton
La storia di Bethany Hamilton è significativa per dimostrare come noi esseri umani abbiamo, in noi, le risorse per rialzarci anche dopo eventi improvvisi e drammatici.
Troppo spesso, però, ci lasciamo andare e ci abbattiamo ingigantendo i problemi. Bethany, come tante altre persone meno fortunate di noi, attraverso il sacrificio e la grande forza di volontà è riuscita a raggiungere traguardi impensabili. Perché come dice Bethany nel suo blog creato per motivare e stare vicino alle persone meno fortunate, “non importa cosa avete passato, quello che conta è che ogni battaglia può distruggerci o fortificarci…”
La Storia
Bethany è Hawaiana, nata nella baia di Kauai. Ha iniziato a fare surf ereditando la passione da entrambi i suoi genitori.
A otto anni era la più forte surfista under16 dell’isola e a dodici la più forte dell’arcipelago. Era destinata a diventare la numero uno assoluta in pochissimo tempo anche perché, oltre al suo innato talento, si allenava quotidianamente per 5-6 ore. Purtroppo però, all’alba del 31 ottobre 2003, i sogni di quella ragazzina tredicenne hawaiiana, sempre sorridente, sembrano svanire tra le fauci di uno squalo tigre di oltre quattro metri, che la aggredisce strappandole il braccio all’altezza della spalla. Sarebbero bastati soli due centimetri in più per farla morire. Bethany viene trascinata sul fondo, ma nonostante tutto riesce a scalciare lo squalo sul muso e allontanarlo. Con il residuo delle forze, prima di svenire, riesce a salire sulla tavola e a chiedere aiuto ad Alana Blachard ed al padre che erano in acqua con lei. Il padre di Alana crea un laccio emostatico con il leash della tavola. Quando giunge in ospedale, incosciente ed in fin di vita, Bethany aveva perso quasi il 60% del proprio sangue. Viene operata d’urgenza il giorno stesso e, gioco del destino, nella sala operatoria che era stata riservata al padre, per la stessa mattina, per un intervento all’anca.
Dopo l’intervento passò una settimana in ospedale e circa sette mesi più tardi, attuando un programma per rinforzare la sua muscolatura in modo asimmetrico e perfezionando gli allenamenti in funzione delle necessità che di volta in volta emergevano, torna sulla sua tavola da surf. Si sottopone a sforzi incredibili, comincia ad usare tavole speciali, leggermente più lunghe e diversamente bilanciate. Il papà crea in prua una piccola maniglia per aiutarla nella duck dive con le onde più grandi.
Nel 2004 Bethany torna a competere vincendo il Best Comeback Athlete ESPY Award. Nel 2005 ottiene il primo posto alla National Scholastic Surfing Association e Nel 2008 inizia a gareggiare nella Association of Surfing Professionals, coi migliori surfisti del mondo, classificandosi seconda nel tour.
Vince numerose competizioni ma nel 2014 arriva prima sul podio di una delle gare più impegnative e prestigiose del panorama mondiale surfistico: la Banzai Pipeline, spot che si trova a Oahu nell’arcipelago delle Hawaii.
La vita di Bethany è stata rappresentata anche in un film – “Soul Surfer”.
Ai giornalisti che le chiedevano se fosse orgogliosa di quello che aveva fatto, e di essere stata lo spunto per un film, Bethany rispondeva con grande maturità:
“Cosa dovrei fare… ringraziare lo squalo perché mi ha fatto diventare forse anche più famosa di quello che sarei potuta essere diventando una surfista? Non sono orgogliosa né del film, né del fatto che mi chiedano di posare per una linea di abbigliamento o di firmare un profumo. Sono orgogliosa di essere quella che sono, e sono felice di poter vivere la mia vita con pienezza. Invito tutti i ragazzi che vivono un’esperienza traumatica come la mia, qualunque essa sia, a fare quello che ho fatto io: zittire la rabbia e dare sfogo alla propria energia positiva. Volevo solo fare surf, lo avrei fatto anche con una gamba sola e se non avessi avuto le gambe avrei trovato il modo di fare surf sulle braccia…”.
Paolo (windspirit)