Come inganno

Qualche giorno fa l’istituto nazionale di statistica decretava, senza pudore, che il periodo di recente lockdown fosse trascorso all’insegna di un clima sereno, coeso e positivo. Mentre scorrevano in tv i colorati istogrammi, a sostegno della bizzarra tesi, nella mia mente si materializzavano due immagini: la prima del “pollo di Trilussa”, che ironizzando sulla statistica affermava che se un tizio mangiava due polli e un altro rimaneva a digiuno, per la media, i due avevano mangiato un pollo a testa; la seconda, dell’ “intellettuale da covid”, figura super gettonata  durante il lockdown,  che ostentando nelle videochiamate la scenografica Treccani alle sue spalle, dissertava, con saccenza, che per lui il tanto tempo a disposizione imposto dal governo, era una grande opportunità, un modo per riappropriarsi della reale dimensione familiare. Inutile dire che anche in questa occasione mi sono sentito come il  “bastian contrario”. Come colui che deve sempre polemizzare su tutto e nello specifico sul modo con cui vengono “confezionate” le notizie. Non è che ci prenda gusto ad esserlo, ma ripercorrendo quello che è stato per me il periodo di “segregazione domiciliare” imposta dal governo per motivi di salute, non riesco proprio ad accettare le amenità statistiche provenienti dall’ente pubblico di ricerca italiano. Anzitutto bisogna considerare che non è importante la quantità di tempo che si ha a disposizione ma è di gran lunga più importante la qualità dello stesso. In secondo luogo sarebbe opportuno riflettere sul concetto di imposizione. Se io ti impongo di fruire di una certa quantità di tempo in un determinato periodo e in un determinato luogo, più che di tempo libero a disposizione credo si debba parlare di autoritarismo comportamentale. Specialmente pensando che a sorvegliare su tali disposizioni vi siano droni e posti di blocco pronti a comminare multe salatissime. Lungi da me sul voler polemizzare sulle “sacrosante” misure adottate dal governo, ma far passare quel terribile periodo come “sereno, coeso e positivo” mi fa sentire come quel tizio che pur non avendo mangiato il pollo, viene considerato con lo stomaco pieno solo perché qualcun altro di polli ne ha mangiati due. Senza tirare in ballo le famiglie che hanno vissuto lutti, perdite di lavoro e drammi di ogni genere, per le quali gli aggettivi “sereno, coeso e positivo” usati dall’istat suonano quanto mai offensivi, basterebbe, per demolire il lavoro dell’emerito istituto di statistica,  considerare anche solo coloro che come me si sono imbattuti nelle ordinarie difficoltà derivanti dalla retribuzione ridotta, dall’impossibilità di svolgere il proprio lavoro e dalle difficoltà ad accedere alle cure sanitarie. Per non parlare dell’impossibilità di praticare il proprio sport e, tanto per non farci mancare nulla, delle follie della D.A.D. (Demenzialità…ops…Didattica A Distanza), sulla quale stenderei un velo pietoso…anzi un bastone in testa a quei docenti che hanno fatto del protagonismo il “leitmotiv” del secondo quadrimestre virtuale. Ovviamente per gli scansa-fatica che di polli ne hanno mangiati in abbondanza e che hanno trovato nel divano il loro habitat dove operare in “smart working” generando, in tal modo, notevoli economie finanziarie ed anche cerebrali, essendo muniti di quest’ultime come i polli di cui sopra, è stato un vero toccasana. Le proiezioni dell’ISTAT come tutti i dati derivanti da una media aritmetica, possono essere interpretati ed enunciati molto liberamente da chi li propone. Basterebbe solo spiegarne adeguatamente le dinamiche e non propinarli acriticamente. Per rendere ancor più l’idea sulla soggettività dei dati mi viene in mente quell’altro esempio che racconta di una persona annegata in un lago della profondità media di mezzo metro. Per fortuna che pian piano tutto sta ritornando alla “normalità” e soprattutto ci siamo riappropriati, sebbene con cautela, delle nostre abitudini.

Paolo (windspirit)

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